Il servizio ‘Foto’ di Google accusato di razzismo per il tag ‘gorilla’
Il colosso di Mountain View, Google Inc. ha lanciato lo scorso 26 giugno il servizio ‘Foto’ per conservare tramite backup tutte le foto e i video, ricercabili e organizzati in base alle persone, e ai luoghi, attraverso l’assegnazione automatica dei tag. La versione ‘Photos’ dell’applicazione è purtroppo incappata in un brutto e involontario episodio di razzismo: l’assegnazione automatica dei tag ha taggato con il nome di “Gorilla” una ragazzo ed una ragazza di colore, insieme in una foto. La segnalazione a Big G arriva direttamente da Jacky Alciné, programmatore di computer afroamericano, protagonista del razzismo arrivato dall’applicazione, che ha pensato di far sapere a Google e a tutto il mondo l’accaduto tramite il suo profilo Twitter, pubblicando uno screenshot dell’etichetta in questione. Il colosso della ricerca web, una volta preso atto di quanto successo, ha immediatamente rimosso il ‘tag’ razzista, rilasciando inoltre delle scuse ai due ragazzi: “Siamo sconvolti e sinceramente dispiaciuti per quanto accaduto; stiamo prendendo provvedimenti immediati per evitare che questo tipo di errore ricompaia. C’è chiaramente ancora tanto lavoro da fare con l’etichettatura automatica delle immagini e stiamo cercando di capire come evitare che certi errori si ripetano in futuro”. Secondo Yonatan Zunger, chief social architect di Google, rimane ancora molto lavoro da fare affinché venga perfezionato il software: “Abbiamo avuto – spiega Zunger – problemi con persone di tutte le razze etichettate come cani”. Babk Hodjat, responsabile del settore scientifico di Sentient Technologies, ha commentato sulle pagine del Wall Street Journal che bisogna “modificare in maniera significativa i sistemi di apprendimento delle macchine fornendo loro una maggiore contestualizzazione, affinché possano comprendere le sensibilità culturali importanti per gli umani che sono molto sensibili e si concentrano su determinate differenze che sono culturalmente rilevanti per noi, le macchine non possono farlo”.